03-Dall’abaco in poi..
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“Non è degno di uomini d’ingegno perdere ore come schiavi nel lavoro di calcolo che potrebbe essere affidato tranquillamente a chiunque altro se si usassero le macchine”
Wilhelm Leibniz
Questa frase del grande logico, filosofo e matematico tedesco Wilhelm Leibniz (1646-1716), espressa agli albori del moderno calcolo scientifico, è una sorta di manifesto delle motivazioni alla base dello sviluppo del calcolo automatico e dei suoi strumenti, le macchine calcolatrici.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’avvento del computer ha rapidamente reso obsolete le tecnologie sviluppate appositamente per le tradizionali calcolatrici meccaniche ed elettromeccaniche, trasferendo la maggior parte delle problematiche del calcolo dello sviluppo di programmi adeguati.
AUTOMATIZZARE IL CALCOLO
Il tentativo di automatizzare gli aspetti più ripetitivi del calcolo è antico almeno quanto l’applicazione del medesimo per scopi pratici: l’uso dell’abaco (o pallottoliere) era ben noto ai romani, ai greci e, almeno dal VII a.C. ai cinesi. Esso poteva presentarsi nelle forme più disparate ma dalla più rudimentale alla più elaborata, il meccanismo di funzionamento era il medesimo: attraverso la disposizione di righe successive di sferette o altri segni convenzionali, permetteva di effettuare calcoli su numeri interi.
I MECCANISMI
In epoche più recenti, il regolo calcolatore (introdotto verso il 1620) ha permesso l’esecuzione di calcoli basati sulle proprietà dei logaritmi. A seconda della precisione richiesta, l’uso del regolo poneva alla portala di un operatore esperto l’elevamento a potenza, l’estrazione di radice e il calcolo di funzioni trigonometriche.
Un regolo molto particolare fu il “compasso geometrico e militare” costruito da Galileo Galilei. Si trattava di uno strumento molto semplice (due aste incernierate come nei normali compassi, ma graduate secondo diverse scale) e di precisione limitata ma il suo successo commerciale (Galileo ne aveva fatto costruire un certo numero di esemplari ponendoli poi in vendita) testimonia del bisogno di aiuto nei calcoli che ingegneri militari e civili avvertivano all’epoca.
Ma è il XVII secolo a conoscere una vera e propria esplosione di interesse per i meccanismi di aiuto al calcolo che, facendosi sempre più elaborati e complessi, ci portano a parlare di vere e proprie “macchine”.
Al 1617 risalgono i “bastoncini di Nepero” (nome latinizzato di John Napier, curiosa figura di proprietario terriero scozzese appassionato di matematica, che contribuì al moderno sistema dei logaritmi): erano dei parallelepipedi a base quadrata sulle cui facce erano riportate delle tavole non dissimili dalle nostre tabelline.
LE MACCHINE
Nel 1623 il tedesco Wilhelm Schickard propone la prima calcolatrice vera e propria, in grado di eseguire automaticamente addizioni e sottrazioni, con riporto di risultati parziali e, semi-automaticamente, moltiplicazioni e divisioni. La macchina si componeva di undici ruote dentate complete e di sei ruote con un solo dente, adibite al trasferimento dei riporti.
Schickard morì di peste nel 1635, nel corso della Guerra dei Trent’anni, e probabilmente il celebre filosofo Blaise Pascal non aveva mai sentito parlare della sua macchina quando negli anni 1642-1644 perfeziona una propria calcolatrice. Si tratta di un modello meno sofisticato di quello di Schickard, in grado di effettuare solo addizioni e sottrazioni, ma all’epoca godette di grande popolarità e la successiva gloria filosofica e matematica del suo inventore contribuì a conservarne il ricordo, fino alla dettagliata descrizione che ne fece Diderot nella sua Encyclopédie. Un esemplare, costruito nel 1652 e firmato da Pascal, viene conservato a Parigi presso il Conservatoire des Arts el Metiers.
Una delle prime macchine calcolatrici in senso moderno fu la “ruota dentata” di Leibniz. Rispetto alla macchina di Pascal, aveva del tutto automatizzato sia la divisione che la moltiplicazione. Quest’ultima veniva realizzata per somme successive del moltiplicando, tante volte quanto indicato dalle cifre del moltiplicatore. Per quanto ingegnosa ed efficiente, la macchina di Leibniz non ebbe grande fortuna (come tutti i meccanismi che l’avevano preceduta, veniva considerata poco più di una curiosità) ma costituì un modello per le calcolatrici meccaniche da tavolo a venire, che ne riprodussero le idee di base fino alle ultime generazioni.
Sulla scia delle innovazioni introdotte dal meccanismo di Leibniz, lungo lutto il XVIII secolo assistiamo a una intensa attività di progettazione e costruzione di macchine calcolatrici, tra cui ricordiamo quella del veneziano Poleni (1709). Ma è il XIX secolo a vedere le prime applicazioni sistematiche di queste ricerche pionieristiche e il definitivo affermarsi degli strumenti di aiuto al calcolo. Alla base di ciascuno ritroviamo sempre il principio di Leibniz della moltiplicazione come somma ripetuta, apparentemente riscoperta nel 1820 da Charles Xavier de Colmar.
In Polonia. Abraham Stern (1769-1842) mise a punto una serie di macchine in grado di eseguire le quattro operazioni aritmetiche e la radice quadrata di numeri con sei cifre.
L’ELETTRICITÀ E L’ERA MODERNA
I primi anni del XX secolo videro il rapido affermarsi dell’alimentazione elettrica e anche le macchine calcolatrici beneficiarono ben presto di componenti e organi di controllo elettrici e della relativa riduzione dei tempi di calcolo. La loro efficacia era però sempre limitata dalla possibilità di eseguire una sola operazione per volta e dalla massima velocità possibile a componenti meccaniche.
Un importante passo fu la sostituzione della registrazione manuale dei numeri con la lettura automatica di elementi perforati (in seguito, schede), grazie ai quali la crescente flessibilità nella programmazione delle operazioni iniziava a permettere applicazioni commerciali, mentre anche a livello universitario e accademico l’importanza delle tecniche di calcolo che queste nuove macchine rendevano possibili veniva riconosciuta con l’istituzione di nuovi corsi e nuove cattedre. In particolare, l’università di Columbia (LISA) inaugurò nel 1929 un proprio laboratorio di calcolo scientifico, una novità assoluta per l’epoca.
Ad Harvard, tra il 1936 e il 1942, gli studi di H. H. Aiken sfociarono nella serie di calcolatori MARK. Il primo di essi, MARK I, un complesso di 18 metri di lunghezza e 2.5 di altezza, era in grado di memorizzare fino a 72 numeri di 23 cifre e impiegava mediamente 0.3 secondi per eseguire un’addizione, 1 secondo per una moltiplicazione e 5 secondi per una divisione o una radice quadrata. Negli anni tra il 1944 e il 1952, i successivi MARK II, III e IV segnarono il passaggio definitivo da una architettura elettromeccanica a relè a una interamente elettronica: l’adozione di componentistica elettronica, disponibile da tempo (il diodo esisteva dal 1905, il triodo dal 1906) costrinse anche al definitivo abbandono della base di calcolo decimale in favore di quella binaria.
MARK I | MARK IV |
Il 1946 è l’anno di Preliminary Discussion of the Logical Design of an Electronic Computing Instrument, un celebre studio firmato da A. W. Burks. H. H. Goldsline e J. Von Neumann: si tratta di un documento fondamentale, che getta le basi per una migliore comprensione dei problemi connessi all’architettura di un calcolatore funzionante secondo un programma interno (o “residente”) e che definendo la nozione di macchina di Von Neumann apre la strada alla realizzazione dei moderni computer.
I primi problemi che le nuove macchine affronteranno saranno ancora le grandi questioni scientifiche e matematiche che nel corso della storia e in quegli anni di guerra avevano incessantemente stimolato la ricerca di mezzi di calcolo sempre più polenti: calcoli balistici, nucleari, crittografia, previsioni atmosferiche, teoria dei numeri. Ma la macchina prospettata da Burks, Goldsline e Von Neumann è molto più simile all’“automa universale” prefigurato dal matematico inglese Alan Turing che alla ruota dentata di Leibniz o all’ENIAC, il primo calcolatore interamente elettronico a cui lo stesso Goldsline stava lavorando in quel periodo: è una macchina per la risoluzione di problemi, con capacità di elaborazioni logiche oltre che numeriche, e la cui logica è già quella dei moderni elaboratori, dai grandi mainframe ai familiari personal computer da tavolo.
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