La termodinamica

Il calore, come abbiamo veduto, è una forma di energia che si può trasformare in lavoro e viceversa. La parte della fisica che si occupa delle relazioni tra calore e lavoro è la “termodinamica”. Vediamo, anche per questa, i principi fondamentali.

Il “primo principio” della termodinamica è, in pratica, un’estensione del principio di conservazione dell’energia: L’energia non si crea e non si distrugge ma può passare da una forma a un’altra.

La variazione di energia che ha luogo in un sistema, durante una trasformazione qualsiasi, è, in altre parole, uguale alla quantità di energia che il sistema riceve dall’ambiente che lo circonda. Questo spiega perché, in presenza di un fenomeno di attrito, non si conserva energia meccanica: una parte si trasforma in calore e si conserva l’energia totale.

Se mettiamo in azione un freno, producendo attrito, sopra una ruota in movimento, diminuisce l’energia cinetica della ruota, ma, secondo il teorema delle forze vive, si ha un lavoro delle forze di attrito necessariamente uguale alla quantità di calore assorbita dalla ruota.

Non è possibile costruire una macchina termica a funzionamento periodico che produca lavoro, senza assorbire una quantità equivalente di calore.

Esaminiamo il ciclo di un normale motore a benzina (ciclo otto, → 1): all’inizio a pressione P1 e volume V1, (stato 1), il sistema viene portato successivamente a pressione P2 e volume V2 (stato 2) a mezzo di una compressione adiabatica, cioè senza scambio di calore con l’esterno. Si aumenta quindi la pressione, con una trasformazione a volume costante V2, fino a portare il sistema allo stato 3; a questo punto una decompressione adiabatica porta il sistema allo stato 4 e, infine, con una decompressione volume costante V1, il sistema ritorna alla posizione iniziale 1. Il risultato è un lavoro “netto” compiuto dalla macchina termica assorbendo una quantità di calore: QH-Qc > 0.

Il “primo principio” stabilisce la conservazione dell’energia sotto qualsiasi forma, ma non vieta che una parte di calore venga trasformata in lavoro. In base a questo principio sarebbe dunque possibile, in teoria, far girare la ruota di una bicicletta con un raffreddamento: una trasformazione evidentemente inattuabile.

Il “secondo principio” della termodinamica permette di stabilire invece le trasformazioni effettivamente realizzabili. Esso può essere enunciato così: Non è possibile costruire una macchina termica operante in ciclo che si limiti a produrre lavoro assorbendo calore da una sola sorgente. Se non valesse questo principio, si potrebbero, ad esempio, costruire navi capaci di utilizzare soltanto l’energia ricavata dal mare. Un altro modo di enunciare il principio suona così: il calore passa sempre, spontaneamente, dai corpi caldi ai corpi freddi.

Ciò non significa d’altra parte che il calore non possa passare da un corpo freddo a un corpo caldo (come nelle macchine refrigeranti), ma solo che questo tipo di passaggio non è spontaneo, ma richiede, per avere effetto, del lavoro. Nell’esempio della ruota frenata che, per assurdo, si suppone di mettere in movimento mediante un raffreddamento, bisognerebbe tener presente che il corpo freddo cede calore, per trasformarlo in lavoro contro le forze del freno: contrariamente a questo principio si dovrebbe trasferire calore dalla ruota sempre più fredda al freno sempre più caldo.

In→ 2 è rappresentato, in forma idealizzata, il ciclo di Stirling di un refrigeratore. Il sistema, inizialmente allo stato 1, è portato allo stato 2 per mezzo di una compressione a temperatura costante (isoterma), durante la quale si ha una cessione di calore. Allo stato 3 si perviene con una trasformazione a volume costante; successivamente si porta il sistema, con una espansione isoterma che richiede un assorbimento di una quantità di calore Qc, allo stato 4; un’altra trasformazione a volume costante riporta infine il sistema allo stato iniziale. Il lavoro compiuto, durante la trasformazione, è realizzato in gran parte sul sistema e questo infatti cede la quantità di calore: Qc-QH > 0.

l’elettricità

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La carica elettrica e il campo elettrico

Intorno al 500 a.C. Talete di Mileto rilevò che un frammento d’ambra strofinato con un panno attira corpi di piccole dimensioni e che il fatto non può considerarsi gravitazionale (per usare un’espressione attuale), perché l’ambra non sottoposta a tale trattamento non manifesta questa capacità.

Esistono perciò, in natura, delle azioni che sono molto più intense di quelle gravitazionali. Tali forze furono dette “elettriche” dal nome greco dell’ambra (élektron). Effetti simili si osservano peraltro, sempre dietro strofinamento, anche nel vetro, nella ceralacca, nell’ebanite, ecc. (→ 1).

Si chiama “pendolo elettrico” un particolare sistema che risulta composto da una pallina di midollo di sambuco appesa, con un filo di seta, a un apposito braccio. In→ 2b abbiamo due pendoli posti l’uno accanto all’altro. Toccati con bacchette di vetro opportunamente strofinate, i due pendoli si respingono con una certa violenza. Se una delle due bacchette fosse di ceralacca anziché di vetro, i due pendoli mostrerebbero invece una forte attrazione reciproca (→ 2c).

Sostituiamo quindi, in momenti successivi, uno dei due pendoli con pendoli toccati con materiali diversi. Vedremo che alcuni si comportano come il vetro e altri come la ceralacca. Questo diverso comportamento indica la presenza di due tipi di elettricità; quella del vetro è “positiva”, quella della ceralacca “negativa”.

In conclusione potremo dire che le elettricità di segno uguale si respingono e quelle di segno diverso si attraggono.

Carica elettrica
La qualità fisica che sta all’origine delle forze elettriche è detta “carica elettrica”; i corpi che si attraggono si dicono “caricati” positivamente o negativamente, secondo il tipo di elettricità di cui dispongono.

Una bacchetta di vetro, sottoposta a strofinamento e avvicinata a un pendolo con carica positiva lo respinge. Se avviciniamo al pendolo lo stesso panno con il quale si è già strofinato il vetro, si osserva che questo viene attratto: da ciò si rileva che, strofinando il vetro, questo si carica positivamente, mentre il panno si carica negativamente.

Abbiamo perciò una prima prova della presenza, nella materia, di cariche positive o negative, distribuite in modo che gli effetti delle une siano compensati dagli altri: l’azione dello strofinamento non ha fatto che separare i due tipi di cariche. Il panno ha strappato al vetro cariche negative (elettroni), rivelando così un eccesso di cariche negative mentre il vetro si è caricato positivamente. Per quanto riguarda la ceralacca, questa, invece di perdere elettroni, li riceve dal panno, rimasto in questo caso caricato positivamente, fino al punto di respingere il pendolo caricato con l’elettricità del vetro (→ 3).

Un pendolo con carica elettrica è utilizzato, come campione, per misurare le cariche elettriche (→ 4). Se la forza esercitata da questo campione su un pendolo elettrico B è uguale a quella esercitata su C, ciò significa che B e C hanno la stessa carica. Se la forza esercitata su D è la metà di quella esercitata su B, B ha una carica doppia rispetto a D. Possiamo dire dunque che se la forza presente in un pendolo A risulta n volte maggiore di quella presente in B, la carica di A è n volte maggiore di quella di B.

Campo elettrico

Se in una regione dello spazio è presente una carica elettrica Q, questa esercita una forza sulle cariche poste in qualsiasi punto di quella regione. Se in un punto collochiamo una carica di prova positiva q, tanto piccola da non alterare il campo di forza creato da Q (→ 5), il rapporto fra la forza esercitata in quel punto sulla carica positiva e la stessa (purché molto piccola) prende il nome di campo elettrico: un vettore che si indica con E. La forza esercitata in quel punto sulla carica q è F = qE.

In ogni punto dello spazio esiste un vettore campo elettrico ed è possibile tracciare linee che in ogni punto siano tangenti al vettore campo in quel punto: queste si dicono linee di forza del campo elettrico (→ 6).

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Il potenziale elettrico

forza 02

Legge di Coulomb

II campo creato da una carica puntiforme esercita su un’altra carica una forza che, in virtù del principio di uguaglianza fra azione e reazione, è uguale e contraria. Coulomb stabilì sperimentalmente che la forza con la quale si attraggono o respingono due cariche è proporzionale a queste e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa (→ 1).

Questa legge si può riassumere in una formula (formula di Coulomb):

forza 02

dove q e q’ sono i valori delle cariche, d la distanza che le separa, F la forza ed è una costante caratteristica del mezzo in cui si trovano le cariche (costante dielettrica).

Differenza di potenziale
Le forze elettriche hanno una caratteristica importante: sono conservative. Quando muoviamo una carica in un campo elettrico, in ogni punto questa è sottoposta alla corrispondente forza elettrostatica; per spostarla sarà perciò necessario compiere un lavoro contro le forze del campo. Se la carica parte da una posizione e a questa fa ritorno percorrendo un circuito chiuso, il lavoro totale da compiere è nullo. Il lavoro svolto contro le forze del campo nel corso di uno spostamento è uguale e di segno contrario al lavoro per trasportare la carica in senso opposto (→2): in un caso, il campo si oppone allo spostamento, nell’altro lo favorisce. Nel primo caso si ha un lavoro positivo contro le forze del campo, nel secondo invece è il campo che effettua il lavoro e si ha dunque un lavoro negativo. Il lavoro da compiere per trasportare una carica elettrica da un punto a un altro di un campo elettrico non dipende dal percorso (→ 3). La forza dipende piuttosto dalla grandezza q della carica; infatti F = qE. Il lavoro dipende inoltre dalla posizione dei punti di partenza e d’arrivo. Se la carica è uguale all’unità, il lavoro da fare contro le forze del campo, per portarla da un punto A a un punto B, dipende soltanto dalla posizione di questi punti: tale lavoro prende il nome di differenza di potenziale tra A e B (→ 4).

Nel sistema MKS l’unità di potenziale è il volt, che è la differenza di potenziale esistente fra due punti che richiedono, per portare una carica di 1C dall’uno all’altro, un lavoro di 1J. Se per trasportare da A e B una carica di 1C si deve compiere un lavoro pari alla differenza di potenziale VB – VA, per portare una carica q volte più grande, bisognerà realizzare un lavo- ro q volte maggiore, ossia:

LAB = q (VB – VA)

dove LAB è il lavoro da fare. In → 5 si danno le superfici equipotenziali riferite a due cariche positive identiche. I punti sulle superfici più esterne hanno un potenziale minore di quelli collocati sulle superfici più interne. Consideriamo un campo elettrico, in cui il vettore E abbia in tutti i punti direzione, verso e modulo eguali, quello, ad esempio, fra due placche parallele ed uguali, a cui si applica una differenza di potenziale V (→ 6). Per trasportare l’unità di carica da una placca all’altra, si deve fare perciò un lavoro uguale a V. Ma la forza esercitata su di essa è pari ad E; se immaginiamo l’unità di carica in movimento lungo una linea di forza, il lavoro sarà uguale a V = Ed, dove d rappresenta la distanza che separa le placche. Così, in un campo elettrico uniforme E = V/d, l’unità MKS di un campo elettrico è il volt/metro (V/m). Una carica q, posta in un punto di potenziale V, ha una energia potenziale qV e tende alla minima energia potenziale possibile; se q è positiva, tende ad occupare punti di potenziale più basso; se negativa, si comporta in modo contrario.

Conduttori e isolanti
Quando la carica positiva di un corpo le alla carica negativa, il corpo è in uno stato neutro e non produce, nel suo insieme nessun fenomeno elettrico. I corpi, con- tenenti un certo numero di cariche libere di muoversi al loro interno, si dicono conduttori.

Si ha corrente elettrica quando al moto disordinato delle cariche (dovuto all’agitazione termica) si sostituisce un moto ordinato che spinge in uno stesso verso le cariche del medesimo segno.

Le sostanze, prive di cariche mobili, e dove non può passare corrente, sono dette isolanti.

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