La cinematica

Il moto è l’argomento fondamentale che ricorre in tutti i rami della fisica: gli atomi sono in movimento, in tutte le forme della materia; il moto degli elettroni produce corrente elettrica; i pianeti si muovono intorno al Sole, anche le galassie si muovono nello spazio. La cinematica studia il moto dei corpi, indipendentemente dalle cause.

 

Moto rettilineo uniforme

Prendiamo, ad esempio, come oggetto di osservazione il movimento di un’automobile. Con un cronometro misuriamo il tempo che impiega a percorrere la distanza indicata da due segnali stradali posti a 100 metri l’uno dall’altro (→ 1). Si fa partire il cronometro al passaggio dell’auto dinanzi al primo segnale e lo si ferma al successivo: lo strumento indica che l’auto ha percorso questa distanza in 5 secondi.

Dopo una serie di ripetuti, analoghi esperimenti, anche in luoghi diversi, se i risultati rimangono uguali (5 secondi per 100 metri), potremo affermare che l’auto percorre 100 metri in 5 secondi e potremo definire il movimento come un moto uniforme.

È evidente che se le misure fossero di 200 metri e di 10 sec, oppure di 50 m e di 2,5 sec, i risultati sarebbero ancora gli stessi: il quoziente tra spazio e tempo è uguale a 20, corrispondente al numero dei metri percorsi in un secondo. Il rapporto tra spazio percorso e tempo impiegato si dice velocità; nei moti uniformi il rapporto è costante.

Le misure di velocità vengono espresse in metri al secondo (m/sec), centimetri al secondo (cm/sec) e chilometri all’ora (km/h). Dato che un chilometro equivale a 1000 metri e un’ora a 3600 secondi, se ne deduce che l’auto dell’esempio precedente si muoveva a una velocità costante di 72 km/h.

Se il percorso tracciato dall’automobile (traiettoria) è una retta e la velocità è costante, si dice che il moto è rettilineo e uniforme.

Ritorniamo all’esempio iniziale. Se facciamo partire il cronometro quando l’auto passa al segnale dei 100 metri, lo spazio di 100 metri si dice spazio iniziale: esso viene in genere indicato con s0 = s (t = 0), corrispondente all’istante iniziale in cui partono i tempi. Indichiamo con s lo spazio corrispondente al valore t, e con v la velocità (nel moto rettilineo uniforme la velocità ha la direzione e il verso del moto). Avremo pertanto:

 

cioè:

s = vt + s0

 

Questa è la legge del moto uniforme.

 

Rappresentazioni grafiche

Questi risultati possono essere rappresentati per mezzo di grafici indicando sull’asse orizzontale (ascisse) i valori del tempo, e su quello verticale (ordinate) i valori dello spazio. Ogni posizione del mobile è rappresentata da un punto del piano, determinato dal tempo e dallo spazio corrispondenti a quella posizione. L’insieme di questi punti dà origine a una retta (→ 2), caratteristica del moto rettilineo uniforme.

La pendenza della retta fornisce una rappresentazione geometrica della velocità: la velocità risulta maggiore quanto maggiore viene ad essere la pendenza del grafico distanza-tempo.

 

 

Velocità media e velocità istantanea

Supponiamo che un veicolo debba percorrere 100 km in 2 ore: la velocità sarà di 50 km/h (→ 3). Si osserva, prima di tutto, che in questo esempio non si accenna alla direzione del percorso (ci limitiamo infatti al moto rettilineo) e, in secondo luogo, che si precisa soltanto la velocità media: non viene indicato infatti se il veicolo tiene una velocità costante di 50 km/h oppure se si verificano fermate e partenze. Se i primi 40 km sono percorsi in un’ora (con velocità costante di 40 km/h), e i rimanenti nell’ora successiva (con velocità costante di 60 km/h), la velocità media per l’intero percorso, definita come quoziente tra spazio totale percorso e tempo impiegato, rimane quella indicata: 50 km/h.

Se l’oggetto non si muove con velocità costante, la velocità media dipende dall’intervallo di tempo prescelto. Nell’esempio considerato, la velocità media è, durante la prima ora, di 40 km/h, mentre nella seconda è di 60 km/h.

 

Per avere informazioni più dettagliate, si dovrebbero conoscere le distanze percorse ogni mezz’ora, ogni 5 minuti, ogni minuto, ecc.: quanto più ristretto è l’intervallo di tempo preso in considerazione, tanto più preciso è il risultato (→ 1).

Con l’introduzione del concetto di velocità istantanea si può disporre di un metodo per determinare la velocità che dà una risposta univoca, senza che sia necessario specificare il tempo prescelto.

Supponiamo di conoscere un certo moto e di poter rappresentare la posizione del mobile in funzione del tempo per mezzo di una curva (→ 2).

Partiamo dal punto A, corrispondente allo spostamento S3, nel tempo t1. Se assumiamo come posizione finale il punto C, corrispondente allo spostamento S3 e all’istante t3, la velocità media in questo intervallo risulta:


 

Se, in un secondo tempo, riduciamo l’intervallo di tempo a t2 t1, abbiamo la velocità media:

 

 

v12<v13

 

La pendenza della linea AB è minore della pendenza della linea AC.

Se riduciamo ancora l’intervallo di tempo, a partire da t1, avremo una velocità media di volta in volta minore. Questo procedimento può, in realtà, essere condotto indefinitamente; tuttavia, se si calcola la velocità media per un intervallo di tempo piccolissimo e, successivamente, per un intervallo di tempo più piccolo, noteremo che la variazione di valore della velocità media è minima. Possiamo, a questo punto, concepire un intervallo di tempo tanto piccolo che ogni ulteriore riduzione non altera la velocità media: questa velocità media limite è detta velocità istantanea (v). L’espressione matematica di questo risultato è:

 

Dal di vista geometrico, nel limite Δt = t2 ‒ t1→0 il punto B si approssima ad A, seguendo la curva, in modo che la retta che unisce B con A tende alla tangente alla curva in A. Così la pendenza della retta BA, che è la velocità media v12, tende, in questo processo di limite, alla pendenza della tangente in A (che è la velocità istantanea in A). La velocità istantanea, in qualunque posizione, sarà data dalla pendenza della tangente alla curva spaziotempo nel punto che rappresenta quella posizione.

 

Accelerazione

Fino a questo momento, non abbiamo considerato i cambiamenti di direzione (o di verso) del moto, ed abbiamo solo parlato della variazione del modulo di velocità (Δv). Ma la variazione di velocità può derivare anche dal cambiamento della direzione del moto. In → 3 è rappresentata la traiettoria di un mobile e le sue velocità v1 e v2, alle posizioni P1 e P2, occupate, rispettivamente, negli istanti t1 e t2; il vettore  rappresenta la variazione di velocità in questo intervallo di tempo. L’accelerazione media tra gli istanti t2 e t1 è un vettore con direzione e verso di . Il modulo di tale vettore è dato dal quoziente tra il modulo della variazione di velocità e il tempo t2 ‒ t1.

 

Se prendiamo l’istante t2, sempre più vicino a t1, il vettore accelerazione media tende al vettore accelerazione istantanea, corrispondente all’istante t1, cioè alla posizione P, del mobile. Si può dimostrare che questo vettore di accelerazione si trova in un piano determinato dalla tangente e dalla normale principale alla traiettoria in P1, diretto verso la concavità; le proiezioni del vettore accelerazione si dicono componenti tangenziale e normale (→ 4).

L’accelerazione tangenziale in un punto è uguale alla variazione per unità di tempo del modulo della velocità nel punto considerato:

 

 

L’accelerazione normale in un punto è uguale al quadrato della velocità, diviso per il raggio di curvatura della traiettoria in quel punto (→ 4):

 

 

Rappresenteremo ora mediante una curva non più le posizioni del mobile, ma le sue velocità in funzione del tempo (pagina precedente → 5).

La tangente in un punto della curva rappresenta l’aumento del modulo della velocità nell’unità di tempo. Nel caso in cui la velocità conservi costante il suo modulo (movimento uniforme) il grafico è costituito da una retta orizzontale (pendenza nulla); possiamo quindi giustamente affermare che i moti uniformi hanno accelerazione nulla.

 Se la traiettoria è rettilinea, il raggio di curvatura è di conseguenza infinito in tutti i suoi punti e quindi: l’accelerazione normale risulta nulla: i moti rettilinei hanno accelerazione normale nulla.

 

Moto rettilineo uniformemente accelerato

Viene indicato come moto rettilineo uniformemente accelerato il moto rettilineo con accelerazione costante: l’accelerazione risulta puramente tangenziale, appunto perché il moto è rettilineo; inoltre, poiché la direzione della tangente è quella della retta, l’accelerazione è un vettore in quella stessa direzione.

Assegnando un verso alla traiettoria, l’accelerazione è determinata dal modulo con il segno + o con il segno -, a seconda che il suo verso sia positivo o negativo rispetto alla traiettoria.

Accelerazione costante significa quindi accelerazione con modulo e segno costanti.

Inoltre, poiché l’accelerazione è uguale all’incremento di velocità per unità di tempo e in questo caso è costante, a intervalli di tempo uguali corrispondono incrementi uguali di velocità (→ 1). Se indichiamo con v0, la velocità del mobile nell’istante in cui si dà inizio alla misurazione dei tempi, e con v la velocità al tempo t, l’incremento (positivo o negativo) della velocità in tale intervallo è vv0. L’accelerazione a è data pertanto da:

Da ciò si deduce:

v = v0 + at

equazione di una retta in un grafico velocità tempo. Per determinare lo spazio percorso in un tempo t, è sufficiente calcolare la velocità media (→ 2):

 

e quindi moltiplicare questa velocità media per il tempo t. Si ottiene la distanza ss0 percorsa nel tempo t:

ovvero la legge del moto rettilineo uniformemente accelerato (→ 3). Le unità di misura dell’accelerazione nel sistema MKS (metro, chilogrammo, secondo) sono il metro per secondo al secondo (m/sec); nel sistema cgs (centimetro, grammo, secondo) sono il centimetro al secondo per secondo (cm/sec).

Moto dei corpi che cadono

I primi studi sulla caduta dei corpi si devono a Galileo, che lasciando cadere dall’alto (secondo la tradizione dalla torre di Pisa) oggetti di peso la tradizione della torre di diverso, stabilì che il peso del corpo non influenza il moto di caduta (→ 4, 5) e concluse che il moto di caduta libera è un moto uniformemente accelerato. Le tecniche attuali permettono di verificare l’ipotesi di Galileo: ad esempio con una fotografia stroboscopica si può verificare che due sfere di massa diversa cadono alla stessa velocità (→ 6).

L’accelerazione di un corpo in caduta libera in prossimità della superficie terrestre è stata calcolata pari a 9,8 m/sec2, detta accelerazione di gravità (g).

Nella figura (→ 7) sono rappresentate due sfere liberate nello stesso istante: la sfera 1 è stata lasciata cadere, mentre alla sfera 2 è stata impressa una velocità orizzontale iniziale. Si può verificare che per entrambe le sfere i componenti verticali della velocità sono uguali. Nella figura successiva (→ 8) è riportata la sequenza dei vettori velocità per la sfera 2.

 

La dinamica

La nozione di forza si può acquisire mediante il concetto di sforzo muscolare: ogni azione originata da uno sforzo muscolare prende infatti il nome di forza. Ecco alcuni esempi: con uno sforzo musco- lare si può lanciare una palla (→ 1a), oppure sostenere un corpo pesante (→ 2).

Nel primo dei due casi, lo sforzo muscolare produce una alterazione dello stato di riposo della palla, nel secondo esso impedisce il movimento di caduta del corpo pesante. Lo stato di moto di una palla si può anche alterare invertendo il verso del suo movimento, come avviene nel gioco del tennis, dove lo sforzo muscolare produce infatti il movimento della racchetta (→ 1b).

Da questi semplici esempi si può dedurre che si dice forza qualsiasi causa capace di alterare lo stato di riposo o di moto di un corpo.

L’applicazione di uno sforzo muscolare implica una direzione e un verso, oltre che una maggiore o minore intensità. Le forze sono pertanto grandezze vettoriali. In proposito prendiamo in considerazione quanto viene qui illustrato in → 3.

Se a un corpo, inizialmente in stato di quiete, viene applicata una forza F, esso si mette in movimento nella direzione e nel verso della stessa (→ 3a); se invece si applicano al corpo due forze uguali e contrarie (→ 3b), la forza risultante è nulla e non si ha moto.

Infine, due forze F1, ed F2, applicate allo stesso corpo (→ 3c), producono un’accelerazione la cui direzione è data dalla direzione della forza risultante.

L’analisi di questi esempi porta a concludere che varie forze, applicate simultaneamente su un corpo, possono essere sostituite dalla loro risultante vettoriale.

Per misurare l’intensità di una forza, si ricorre al dinamometro, uno strumento semplicissimo, costituito essenzialmente da una molla graduata. È noto infatti che con l’allungamento di una molla si sviluppa una forza tanto maggiore quanto maggiore è la sua deformazione.

Quando la forza della molla è uguale a quella applicata, la somma di queste due forze è nulla, e la molla rimane in equilibrio (→ 4). Un dinamometro si ottiene graduando la molla e facendo corrispondere una particolare forza ad ogni allungamento.

 

Momento di una forza

Si dice momento (M) di una forza rispetto a un punto una grandezza vettoriale perpendicolare al piano determinato dalla forza e dal punto; la direzione è data dal verso di avanzamento di una vite destrorsa che gira nel senso indicato dalla forza; il modulo è dato dal prodotto del modulo della forza per la distanza del punto dalla retta di azione della forza (→ 5).

Il concetto di “momento” acquista particolare importanza nel caso di sistemi che si muovano attorno a un punto o a un asse. Se, ad esempio, si applica una forza alla maniglia di una porta, si provoca la rotazione di questa intorno al suo asse. Se la stessa forza viene applicata invece in modo che il vettore forza attraversi l’asse, non si può avere la rotazione. In questo caso infatti r = 0 (→ 6).

 

Coppia di forze

Quando a un corpo si applicano due forze della stessa retta d’azione e di modulo uguale ma di verso opposto, i loro effetti si equivalgono: a meno che il corpo non sia deformabile, è come se non gli venga applicata forza. Se invece le due forze non hanno la stessa retta d’azione, i loro momenti, rispetto a un qualsiasi punto, sono tali che il momento risultante è costituito da un vettore perpendicolare al piano determinato dalle forze, diretto nel verso di avanzamento di una vite destrorsa che gira nel senso indicato dalla coppia delle forze, con modulo uguale al prodotto della distanza tra le due rette di azione per il modulo comune delle stesse forze.

Si può dimostrare che l’effetto non cambia, sia che si applichi a un corpo un sistema di forze qualsiasi, sia che ad esso si applichi una forza e una coppia di forze. La forza risulta uguale a quella che si ottiene con la somma vettoriale di tutte le forze.

Supposto che la detta forza sia applicata a un punto determinato, la coppia di forze avrà un momento uguale alla somma vettoriale dei momenti di tutte le forze rispetto al punto prescelto.

La dinamica studia le relazioni esistenti fra le forze e i movimenti. I princìpi fondamentali della dinamica sono enunciati dalle “leggi di Newton” che forniscono, per quasi tutte le situazioni ordinarie, una descrizione corretta dei sistemi fisici e in particolare per i corpi macroscopici, ma devono essere modificate quando si riferiscono a distanze estremamente piccole o a velocità molto grandi. Le differenze tra previsione e osservazione, che si rilevano in questi casi, hanno permesso di sviluppare le teorie della meccanica quantistica e della relatività.

Prendiamo un metro, un cronometro e un dinamometro e usiamoli per misurare la forza necessaria a far muovere un piccolo mezzo di trasporto (il cronometro e il metro misurano, in effetti, l’accelerazione).

Sperimentalmente si può così osservare che, quale possa essere la forza applicata, il quoziente fra questa e l’accelerazione è costante: raddoppiando la forza, si raddoppia anche l’accelerazione e via dicendo (→ 1a). Le forze sono proporzionali alle accelerazioni che producono.

Poiché il quoziente fra la forza e l’accelerazione non cambia, è evidente che esso non dipende né dalla forza né dalla accelerazione, ma solo dal corpo.

Se infatti carichiamo il mezzo con un peso e ripetiamo le misurazioni, avremo, tra forza e accelerazione, un quoziente diverso ma sempre costante (→ 1b).

Il valore del quoziente fra forza e accelerazione si deve considerare una quantità caratteristica del corpo a cui è applicata la forza: a tale quoziente si dà il nome di massa inerziale del corpo.

Abbiamo perciò F/a = m, dove F è la forza applicata, a l’accelerazione acquistata dal cor- po, m la massa. A parità di forza applicata, quanto maggiore è la massa, tanto minore è l’accelerazione. La massa inerziale è una misura della resistenza quale viene offerta da un corpo quando se ne alteri lo stato di quiete o di moto.

 Il campione di massa è un cilindro di platinoiridio (conservato nell’Ufficio Internazionale di pesi e misure di Sèvres, in Francia). La massa di questo campione, pari a quella di un litro di acqua distillata a 4 °C, si dice chilogrammo (kg) e la millesima parte di questo grammo (g).

 

Leggi di Newton

In relazione agli esperimenti e alle analisi di precedenti ricercatori e in particolare di Galileo, Newton riuscì a sintetizzare, nei Principia, una descrizione completa della dinamica dei corpi in moto. La “prima legge” della dinamica, detta anche “principio di inerzia”, stabilisce che un corpo permane nel suo stato di quiete, o di moto rettilineo uniforme, se non viene sollecitato da forze esterne. In termini matematici: F = 0, ossia a = 0, ovvero v = cost (→ 2).

La “seconda legge” della dinamica stabilisce qualitativamente e quantitativamente come le forze intervengono sul moto di un corpo. Tra il vettore forza e il vettore accelerazione esiste una relazione di proporzionalità, che può essere scritta:

 

F = ma

 

dove m è la costante di proporzionalità scalare caratteristica del corpo (→ 3).

La “terza legge” della dinamica, detta anche “principio di azione e reazione”, stabilisce che ad ogni azione corrisponde sempre un’azione uguale e contraria: le azioni reciproche di due corpi sono sempre uguali e dirette in versi opposti.

In termini matematici:

 

F12 = –F21

 

Nell’urto fra una palla e una mazza da golf la forza esercitata sulla mazza dalla palla è uguale e opposta a quella esercitata sulla palla dalla mazza (→ 4). Da notare che l’azione non è annullata dalla reazione, poiché le forze sono applicate a corpi diversi. Nel sistema MKS l’unità di forza è il newton (N), corrispondente alla forza che applica a una massa di un kg una accelerazione di 1 m/sec2; nel sistema cgs l’unità di forza è la dina, pari alla forza che comunica a una massa di 1 grammo l’accelerazione di 1 cm/sec2.

La gravitazione

Gli oggetti in caduta libera in prossimità della superficie terrestre hanno una accelerazione di 9,8 m/sec2. Newton si interessò alla cosa e studiò, in particolare, il sistema Terra-Luna, ipotizzando che la forza che tiene la Luna nella sua orbita intorno alla Terra avesse la stessa natura di quella che attrae gli oggetti in prossimità della superficie terrestre; in altre parole egli proponeva che l’accelerazione centripeta della Luna, che le permette di ruotare intorno alla Terra, fosse dovuta all’attrazione gravitazionale della Terra stessa (→ 1).

L’accelerazione centripeta della Luna – a quanto stabili Newton – è più piccola del valore di g sulla superficie della Terra di un fattore: ac/g = 1/3600 = 1/(60)2.

Essendo la distanza della Luna dal centro della Terra pari a circa 60 volte la distanza di un oggetto situato sulla superficie terrestre, Newton suppose che la forza di gravità fosse inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei due corpi. L’ipotesi era valida anche per il moto dei pianeti.

La forza gravitazionale che due particelle o due corpi sferici esercitano l’uno sull’altro è inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra i loro centri, e direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse.

L’enunciato suppone che le dimensioni dei corpi siano, rispetto alle distanze che li separano, molto piccole, in modo da essere considerati come oggetti puntiformi. In termini matematici:

 

 

dove F è il modulo della forza di attrazione gravitazionale; m1 e m2 sono le masse dei due corpi che si attraggono; d è la distanza che li separa; K è una costante universale che dipende soltanto dal sistema di unità di misura prescelto (→ 2).

La gravità terrestre

Quando uno dei corpi in attrazione reciproca è la Terra e l’altro un corpo assai più piccolo a breve distanza da questa, la forza di gravitazione è detta peso del corpo, l’attrazione gravità terrestre. Nell’equazione, m, è la massa della Terra (m1 = 5,97 x 1024 kg). Dividendo la forza F che si esercita su un corpo per la sua massa m2, avremo, in base alla legge di Newton, l’accelerazione del corpo, indicata con g e chiamata accelerazione di gravità:

 

dove d è la distanza del corpo di massa m2 dal centro della Terra, tenuto conto che la massa della Terra è distribuita simmetricamente rispetto al centro. Per un punto prossimo alla superficie terrestre, d è uguale, per approssimazione, al raggio della Terra e l’accelerazione di gravità sulla superficie terrestre è pari a:

 

 

il cui valore è, in misura approssimata, 9,8 m/sec2. Un satellite artificiale gira attorno alla Terra, seguendo un’orbita circolare di raggio d; il suo peso è la forza centripeta che dà origine al moto circolare; g è l’accelerazione centripeta, pari al quadrato della velocità lineare diviso per il raggio dell’orbita: g = v2/d (→ 3, 4). Avremo quindi:

 

 

Ne consegue che la velocità di un satellite che gira a piccola altezza (d = R = 6400 km; g = 9,8 m/sec2) è di 7,9 km/sec.

Dividendo, membro a membro, le espressioni ottenute per g e g0, si ha:

 

 

 

da cui si ricava che l’accelerazione di gravità è inversamente proporzionale al quadrato della distanza dal centro della Terra. Così, ad esempio, a 6400 km di altezza i corpi hanno un peso pari alla quarta parte del peso che avrebbero sulla superficie terrestre: g è la quarta parte di 9,8 m/sec2 (→ 5, 6). Il chilogrammo-forza si definisce come la forza con cui la Terra attrae una massa di un kg, collocata in un luogo dove l’accelerazione di gravità è 9,80665 m/sec2.