L’elettricità
Introduzione
Intorno al 600 a.c. Talete di Mileto rilevò che un frammento d’ambra strofinato con un panno attira
corpi di piccoli dimensioni, quali ad esempio capelli, piume o fili.
Le conoscenze scientifiche del tempo spiegavano questo fenomeno come d’origine magica o divina.
A questo periodo risale anche un importante vocabolo che designa questi fenomeni: l’ambra infatti
si chiama in greco élektron. L’elettricità prodotta dall’attrito fu scoperta più tardi anche in altre
materie. Il suo utilizzo rimase dapprima limitato come immaginario e rivoluzionario metodo di cure
e come curiosità nell’ambito degli spettacoli, tanto che fino alla fine del XVIII secolo in occasione
di determinate manifestazioni ci si poteva fare elettrizzare.
I primi esperimenti sul comportamento della corrente elettrica vennero eseguiti dagli scienziati
italiani Luigi Galvani e Alessandro Volta. Galvani ottenne la contrazione dei muscoli nelle zampe
di una rana applicandovi una corrente elettrica e Volta, nel 1800, annunciò l’invenzione della prima
pila elettrica.
Nel 1819, lo scienziato danese Hans Christian Ørsted dimostrò che intorno a un filo percorso da
corrente elettrica si crea un campo magnetico; nel 1831 Faraday provò che il flusso di corrente in
una bobina può indurre una corrente in una seconda bobina posta in prossimità della prima. Intorno
al 1840 James Prescott Joule e Hermann von Helmholtz dimostrarono che i fenomeni elettrici
obbediscono alla legge di conservazione dell’energia.
Un importante contributo allo studio dell’elettricità fu l’opera del fisico – matematico britannico
James Clerk Maxwell, il quale sviluppò la teoria della luce come radiazione elettromagnetica e
formulò le leggi fondamentali dell’elettromagnetismo, oggi note come equazioni di Maxwell. La
conferma della validità della sua teoria venne dagli esperimenti del fisico tedesco Heinrich Hertz,
che nel 1886 riuscì a produrre e a rivelare le onde elettromagnetiche nell’atmosfera, e
dell’ingegnere italiano Guglielmo Marconi, il quale nel 1896 utilizzò tali onde per realizzare il
primo sistema pratico di comunicazione radio.
La prima misura accurata della carica dell’elettrone, che rappresenta la più piccola quantità di carica
osservabile, fu ottenuta nel 1909 dal fisico statunitense Robert Andrews Millikan. Da allora le
conoscenze nel campo dell’elettricità si sono arricchite a dismisura, tanto da permettere applicazioni
industriali sempre più raffinate: dall’uso dell’elettricità come sorgente di energia, dovuto in gran
parte al lavoro di inventori e tecnologi come Thomas Alva Edison e Nikola Tesla, alla realizzazione
di dispositivi elettronici microscopici, essenziali allo sviluppo della moderna tecnologia
dell’informazione.
La carica elettrica nei corpi
Se si strofina una bacchetta di materiale sintetico con un panno o con un indumento, questa attira
materiali leggeri come, ad esempio, pezzettini di carta. Effetti simili si osservano peraltro, sempre
dietro strofinamento, anche nel vetro, nella ceralacca, nell’ebanite.
L’uomo non è in grado di percepire direttamente la carica elettrica, in quanto non possiede nessun
organo sensorio adatto. Può soltanto riconoscere gli effetti di queste cariche e dedurne uno stato di
elettrizzazione. Per rendercene conto facciamo una semplice esperienza.
Strofiniamo una bacchetta di ebanite con un panno di lana e poi appendiamola con uno spago sottile
per il suo punto di mezzo, in modo che rimanga orizzontale, ma nello stesso tempo possa ruotare.
Se le avviciniamo ad un estremo un’altra bacchetta di ebanite, anch’essa strofinata con un panno di
lana, la bacchetta appesa verrà respinta. Se invece le avviciniamo una bacchetta di vetro, sempre
strofinata, invece di una repulsione si otterrà un’attrazione. Questo fenomeno lo possiamo spiegare
associando allo strofinio della bacchetta di ebanite una elettrizzazione negativa e a quella della
bacchetta di vetro una elettrizzazione di tipo positivo.
L’esperienza ci dice che:
cariche elettriche di segno uguale si respingono, cariche di segno opposto si attraggono.
In altre parole le cariche opposte presenti su corpi diversi tendono ad annullarsi reciprocamente,
poiché esse si attirano e, se i corpi vengono in contatto, si compensano annullandosi.
Costituzione della materia
La materia di cui sono costituiti i corpi che ci circondano, siano essi solidi, liquidi o gassosi, è
formata da particelle piccolissime chiamate atomi il cui raggruppamento in modo e forme diverse
dà luogo alla varietà delle sostanze conosciute. Una rappresentazione molto chiara dell’atomo è
fornita dal modello atomico. In questo, l’atomo consiste di un nucleo carico positivamente, che si
trova al centro, ed intorno al quale si muovono, su ben determinate orbite, degli elettroni carichi
negativamente, così come i pianeti intorno al sole nel nostro sistema solare. Il nucleo atomico, oltre
ai protoni, carichi positivamente, contiene anche i neutroni, che non sono elettricamente carichi
(neutri).
Normalmente un atomo è elettricamente neutro, cioè scarico. Pertanto il numero degli elettroni è
uguale a quello dei protoni.
Le dimensioni di un atomo sono incredibilmente piccole. Il diametro dell’atomo dell’idrogeno è, ad
esempio, di circa 10-10 m e quello del nucleo solo di 10-15 m. La figura seguente ne illustra le
dimensioni.
In ogni atomo, protoni e neutroni sono fortemente legati tra loro, il che corrisponde ad una
importante caratteristica. L’insieme protone – neutrone al centro dell’atomo prende nome, come già
detto, di nucleo e il numero dei protoni nel nucleo dell’atomo determina la sua identità elementare:
cambiando il numero di protoni, si cambia il tipo di elemento. Ad esempio il rame ha nel nucleo 29
protoni mentre lo zinco 30. Se si potessero togliere tre protoni dal nucleo di un atomo di piombo, si
realizzerebbe il vecchio sogno degli alchimisti di produrre un atomo d’oro!
I neutroni influenzano molto meno il carattere chimico e l’identità di un atomo rispetto ai protoni,
sebbene sia difficile aggiungerli o rimuoverli dal nucleo, essendo legati così fortemente. Se neutroni
sono aggiunti o acquisiti, l’atomo conserverà ancora la stessa identità chimica, ma la sua massa
cambierà leggermente ed acquisire strane proprietà nucleari e strane come la radioattività.
Tuttavia, gli elettroni hanno sensibilmente più della libertà di muoversi intorno in un atomo che i
protoni o i neutroni. Infatti, loro possono essere eliminati dalle loro rispettive posizioni (persino
lasciando completamente l’atomo!) con gran lunga meno energia di quella che quella che occorre
per rimuovere particelle dal nucleo. Se questo succede, l’atomo mantiene la sua identità chimica,
4 Principi fondamentali di elettrotecnica
ma accade un importante sbilanciamento. Elettroni e protoni sono unici, in realtà, poiché essi
subiscono un’attrazione reciproca. È questa attrazione che causa l’attrazione tra oggetti strofinati,
dove gli elettroni si muovono dai loro atomi originali per raggiungere gli atomi di un altro oggetto.
Oltre una determinata distanza Gli elettroni tendono a respingersi a vicenda, così come i protoni con
altri protoni. L’unica causa che tiene legati insieme i protoni insieme nel nucleo di un atomo è una
forza molto più forte denominata la forza nucleare forte che ha effetto soltanto sotto le distanze
molto piccole. A causa di questo comportamento repulsione/attrazione fra le diverse particelle, gli
elettroni ed i protoni risultano avere cariche elettriche opposte. Cioè ogni elettrone ha una carica
negativa ed ogni protone una carica positiva. In ugual numero all’interno di un atomo, ognuno
neutralizzerà la presenza dell’altro, in modo che la carica all’interno dell’atomo sia pari a zero.
Ecco perchè un atomo di carbonio ha sei elettroni: per bilanciare la carica elettrica dei sei protoni
nel nucleo.
Gli elettroni si muovono ad una definita distanza dal nucleo, su delle orbite elettroniche, a diversi
livelli contraddistinti con le lettere K, L, M, N, O, P, O con inizio dal livello più vicino al nucleo. A
ciascun livello compete una determinata quantità di energia che va aumentando con la distanza dal
nucleo. Ciascun livello contiene un determinato numero di elettroni (ad esempio il livello K ne
contiene 2, il livello L 8, il livello M 18 ecc…). Il numero di protoni totali di un atomo, che, come
abbiamo detto, è uguale a quello degli elettroni, è detto numero atomico.
Ogni atomo ha un proprio peso che è la somma dei pesi dei protoni, dei neutroni e degli elettroni. Si
definisce peso atomico, il peso dei singoli atomi riferiti alla 12ª parte del peso dell’atomo di
carbonio.
Una sostanza costituita da atomi di uno stesso tipo viene denominata elemento.
In natura sono stati trovati 91 tipi di atomi: altri 26 sono stati preparati artificialmente in questi
ultimi anni per un totale di 117 elementi.
Per raccogliere questi elementi in una logica comprensibile si è pensato di ordinarli in una Tavola
Periodica degli Elementi che metta in evidenza le caratteristiche fondamentali dei singoli atomi
come, appunto, il loro numero atomico e peso atomico.
Come si vede nella Tavola, si sistema orizzontalmente la serie degli elementi conosciuti in base al
numero atomico crescente, e in verticale gli elementi che presentano comportamento chimico
simile. Questa classificazione è detta periodica per il fatto che gli elementi, disposti secondo i loro
numeri atomici crescenti, mostrano di ripetere periodicamente alcune proprietà fondamentali. La
classificazione risulta quindi a “gruppi” ed a “periodi”. I gruppi racchiudono gli elementi che
mostrano un comportamento chimico ed anche delle proprietà fisiche analoghe. I periodi mostrano
invece una graduale variazione di alcune proprietà nel procedere da sinistra verso destra o
viceversa. Gli elementi dello stesso gruppo, inoltre, presentano lo stesso numero di elettroni
nell’orbita esterna.
Si può quindi dire che la periodicità delle proprietà degli elementi dipende dalla rassomiglianza
delle loro strutture periferiche. Ad esempio gli elementi Li, Na, K, Rb presentano analoghe
proprietà perchè a loro competono strutture elettroniche simili (contengono tutti un solo elettrone
sull’orbita più esterna). Gli elementi che costituiscono il gruppo 0 del sistema periodico sono
chimicamente stabili; non si combinano con nessun altro elemento e sono perciò detti gas nobili o
inerti. Si ammette che la configurazione elettronica di tali elementi (8 elettroni nell’ultima orbita)
sia la causa di tale inerzia o stabilità.
Se quindi il numero di elettroni esterni non è esattamente quello previsto per la condizione di
stabilità l’elemento non è chimicamente inerte ed ha la tendenza a cedere o ad acquistare uno o più
elettroni da altri elementi in modo da completare elettronicamente l’orbita esterna. Questa
caratteristica viene definita valenza e sono detti elettroni di valenza i relativi elettroni di scambio. È
intuitivo il fatto che gli elementi che dispongono di un numero di elettroni inferiore a 4 tenderanno
a perderli, mentre quelli che ne hanno un numero maggiore tenderanno più facilmente ad
acquistarne altri per completare l’ottetto (otto elettroni sull’orbita esterna). Questa capacità di
acquistare o cedere elettroni permette la combinazione dei diversi composti chimici e quindi
l’esistenza delle infinite possibilità di aggregazione della materia.
I metalli rappresentano una categoria di elementi chimici dotati di caratteristiche particolari, fra le
altre, quella di avere alcuni degli elettroni esterni uniti tanto debolmente da potersi spostare da un
atomo all’altro. Ne risulta quindi che in seno ai metalli si hanno degli elettroni mobili che possono
spostarsi con molta facilità. In particolari condizioni il movimento di questi elettroni può essere
determinato e ordinato. Un movimento ordinato di elettroni che si muovono entro un metallo è detto
corrente elettrica.
In altri materiali gli elettroni sono tutti fortemente legati al nucleo e, nonostante presentino
comunque una loro valenza, la mancanza di elettroni mobili è di ostacolo alla circolazione della
corrente.
Confrontiamo questi diversi comportamenti della materia con alcune classiche esperienze.
Se strofiniamo con un panno di seta una bacchetta di vetro, si ottiene che un certo numero di
elettroni della bacchetta si trasferisce sulla seta: il vetro rimane perciò elettrizzato positivamente,
cioè gli atomi presentano una carica complessivamente positiva. Strofinando invece una bacchetta
di materiale sintetico con la lana si ha il processo inverso e la bacchetta rimane elettrizzata
negativamente.
Lo stato di elettrizzazione si manifesta col fatto che vengono attirati dei corpuscoli leggeri (es. dei
pezzettini di carta). Se prendiamo adesso una bacchetta metallica e la strofiniamo con della lana si
constaterà l’assenza, dei fenomeni di elettrizzazione. Però se conduciamo l’esperienza sostenendo la
bacchetta con un’impugnatura di vetro, si può osservare la bacchetta metallica attirare dei pezzetti
di carta: ciò vuol dire che è rimasta elettrizzata.
Si conclude quindi che tutti i materiali, se strofinati, si elettrizzano. Questi, tenuto conto dei
risultati, si possono suddividere in due categorie.
I primi sono detti materiali conduttori perchè l’elettricità si propaga attraverso essi. Infatti, come
visto, l’elettricità sviluppata si propaga lungo la bacchetta metallica, indi attraverso il corpo umano,
esso pure conduttore, per disperdersi a terra.
I secondi sono detti materiali isolanti perchè in essi l’elettricità rimane localizzata, isolata, nei punti
ove si è prodotta; questi possono essere utilizzati per isolare elementi interessati dal flusso di
corrente elettrica.
Esistono anche materiali che non possono essere definiti né conduttori né isolanti. Vengono
chiamati semiconduttori. I semiconduttori (silicio, selenio, germanio), appartengono agli elementi
aventi nell’orbita elettronica più esterna 4 elettroni di valenza. Ogni atomo si lega ai 4 atomi
adiacenti formando, nell’insieme, una struttura chiamata reticolo cristallino. Gli indicati doppi
legami, chiamati covalenti, limitano la libertà di movimento degli elettroni di valenza del
semiconduttore per cui allo stato puro questo si comporta quasi come un isolante.
Il modo più semplice per trasformare in un semiconduttore degli elettroni legati in elettroni liberi è
quello di riscaldare il cristallo. Gli atomi allora entrano in una violenta e crescente oscillazione,
esercitando una forte trazione sui legami atomici. Qualcuno di questi legami si spezza e l’elettrone
di valenza interessato diviene libero. All’aumentare della temperatura aumentano gli elettroni liberi:
il semiconduttore finisce di comportarsi da isolante e diviene conduttore.
Principi fondamentali di elettrotecnica 7
Un altro modo che permette la conduzione di corrente è quello di drogare il semiconduttore.
Il drogaggio consiste nell’includere entro il reticolo cristallino una piccolissima quantità di un
elemento chiamato impurità, a valenza diversa da 4, ad esempio l’arsenico (As) a 5 elettroni di
valenza, oppure il boro (B) a 3 elettroni di valenza.
Se in un cristallo di silicio si inseriscono delle impurità di arsenico allora si avranno degli elettroni
in eccesso, praticamente liberi, che si comportano come elettroni di conduzione. Il semiconduttore,
così drogato, viene chiamato donatore di elettroni o di tipo n. Se invece vengono introdotte delle
impurità di boro nella struttura cristallina del silicio si generano delle cavità o lacune (mancanza di
elettroni). L’insieme delle cavità che possiedono cariche elettriche positive, libere di spostarsi e che
determinano, perciò, una conduzione di cariche positive, definiscono il semiconduttore, cosi
drogato, un portatore di cariche elettriche positive, o di tipo p.
Molti importanti componenti semiconduttori sono composti da strati resi conduttivi con drogaggio
tipo n o di tipo p. Ciò è particolarmente vero nei diodi semiconduttori, transistori, thyristori
bidirezionali (triac) ecc….