Lavoro e energia
Il concetto di “energia” è strettamente legato all’idea di “lavoro”. Taluni modi di dire che ci suonano familiari perché ci accompagnano da sempre (“fai un buon pasto e avrai energia”, “chi ha energia fa molto lavoro”) rispondono in effetti a sicuri principi scientifici. Come questi: l’energia chimica delle sostanze alimentari può essere trasferita ai sistemi biologici, oppure: l’energia è la capacità di compiere lavoro.
Il lavoro
Se si applica una forza ad un oggetto e lo si muove per una certa distanza, si afferma che si è compiuto un “lavoro”. Se si sollecita un oggetto qualsiasi, lungo una superficie che fa resistenza, con una forza che vince l’attrito e sposta l’oggetto in questione lungo una distanza s, si esegue un “lavoro”.
“Lavoro” è dunque il prodotto di una forza applicata a un corpo da un agente esterno per la distanza su cui quella forza agisce sul corpo.
In → 1 la direzione dello spostamento coincide con la direzione della forza applicata, mentre il lavoro eseguito dalla forza F per muovere la massa m di una distanza s è:
L = F·s
In → 2 invece la direzione della forza forma, con la direzione del moto, un angolo θ. Questa forza può essere considerata come la somma vettoriale di due forze indipendenti (le componenti x e y):
Fx = Fcosθ
Fy = Fsenθ
La componente Fx, è diretta lungo lo spostamento; il lavoro da essa eseguito è pertanto: Fx·s = F·s ·cosθ.
Nella direzione y non si ha spostamento; quindi, la componente Fy, non esegue lavoro. La nostra definizione di lavoro deve di conseguenza risultare: il lavoro è il prodotto della forza nella direzione dello spostamento per il valore dello spostamento prodotto dalla forza. Da questa definizione possiamo dedurre:
- il lavoro è nullo, se è nullo lo spostamento, o se è nulla la forza, o se, non essendo nulli nessuno dei due, sono fra loro perpendicolari;
- il lavoro è positivo quando la proiezione della forza sullo spostamento ha lo stesso verso di questo, ed è negativo se ha verso opposto;
- quando la forza e lo spostamento hanno la stessa direzione, il lavoro è uguale al prodotto del modulo della forza per lo spostamento, con il segno + o -, a seconda che siano dello stesso verso o di verso opposto (→ 3).
L’unità di misura del lavoro è, nel sistema MKS, il joule (J), cioè il lavoro che effettua una forza di un N per spostare il suo punto di applicazione di un m nella sua stessa direzione e verso. Se, invece della forza di un N, si considera una forza di un chilogrammo-peso, l’unità è il chilogrammetro (kgm), che corrisponde a 9,8 J. Nel sistema cgs, l’unità è l’erg.
L’energia
Si dice che un corpo, o un sistema di corpi, possiede energia quando è in grado di effettuare un lavoro. Osserviamo l’illustrazione (→ 4): un’automobile che urta contro una palizzata non fa danno, se procede a velocità modesta, poiché non ha la capacità di compiere il lavoro necessario a vincere le forze di coesione della barriera, ha invece questa capacità se urta la palizzata a velocità elevata. L’automobile dunque possiede, in virtù della velocità, un’energia che si trasforma in lavoro al momento dell’urto.
Passiamo alla illustrazione successiva (→ 5), dove è preso in considerazione un oggetto inizialmente in stato di quiete. Se gli si applica una forza costante F, l’oggetto accelera; dopo che ha percorso una distanza s, acquista una velocità v = at (trascurate le forze di attrito). La distanza percorsa è s = 1/2 at2, quindi:
In questo caso dice che l’oggetto ha acquistato una quantità di energia pari a 1/2 mv2.
L’energia acquisita da un oggetto in virtù del suo moto è detta energia cinetica; essa dipende non solo dalla velocità, ma anche dalla massa.
È dimostrato che l’energia cinetica rappresenta il lavoro massimo realizzabile da un corpo in seguito al suo stato di moto, e che al lavoro contro le forze esterne corrisponde una diminuzione della sua energia cinetica. Vediamo il caso contrario: se al mobile si applicano forze che ne favoriscono il moto, il loro lavoro è uguale all’aumento di energia cinetica del mobile (teorema delle forze vive).
Se solleviamo un oggetto di massa m, inizialmente in quiete, fino ad una posizione situata ad un’altezza h e lo lasciamo di nuovo in quiete (→ 1), realizziamo con questa operazione un certo lavoro contro la forza gravitazionale senza tuttavia variare la velocità: il corpo non acquista infatti energia cinetica. Esso possiede peraltro energia in virtù della posizione; se infatti lasciamo cadere l’oggetto dall’altezza h, questo la trasforma in energia cinetica.
Ogni corpo, nel campo gravitazionale terrestre, possiede una energia potenziale: il lavoro eseguito contro la forza gravitazionale viene immagazzinato e conservato sotto forma di energia potenziale (→ 2).
Un’altra illustrazione (→ 3) dà un semplice esempio di energia cinetica trasformata in energia potenziale, e viceversa. Una massa m scivola su un piano senza attrito e con velocità costante v0 e va ad urtare contro una molla. Compressa nell’urto, questa esercita una forza sulla massa e ne provoca il rallentamento. Questa forza non è costante: in buona approssimazione, essa è proporzionale al valore x di deformazione della molla (legge di Hooke).
L’energia cinetica della massa diminuisce, fino ad annullarsi, quando la velocità si annulla e la molla è al massimo della compressione: x = d: a questo punto, tutta l’energia è immagazzinata come energia potenziale della molla. Successivamente, la massa acquista velocità nella direzione opposta, fino ad abbandonare la molla con il modulo della velocità pari a v0 ed energia cinetica pari a quella iniziale: tutta l’energia cinetica perduta durante la compressione è stata riguadagnata. L’energia meccanica, data dalla somma dell’energia cinetica più l’energia potenziale, si conserva durante il processo.
A questo risultato si perviene ogni volta che le forze che intervengono sono forze conservative caratterizzate dalla proprietà per cui la quantità di lavoro compiuto dipende soltanto dalla posizione iniziale e finale del loro punto di applicazione (e non già dal cammino percorso durante il processo). La forza gravitazionale è un esempio di forza conservativa (→ 4), come la forza di richiamo della molla. Invece l’energia meccanica non si conserva quando intervengono forze, come quelle di attrito, che, partendo da una posizione e ritornando in essa, non abbiano lavoro nullo. Le forze di attrito si oppongono sempre al movimento: quando questo si inverte, esse pure si invertono per cui il lavoro realizzato è sempre negativo (→ 5).
Impulso di una forza e quantità di moto
Quando a una massa m si applica una forza si provoca un’accelerazione. Quanto più lungo è il tempo in cui l’accelerazione è diversa da zero, tanto maggiore è la variazione di velocità. Si definisce così una grandezza in cui, insieme alla forza, intervenga il tempo (il tempo in cui esiste accelerazione) quando la forza è diversa da zero.
Questa grandezza è l’impulso della forza, che si definisce come un vettore di uguale direzione e verso della forza, con modulo dato dal prodotto della forza per il tempo in cui essa agisce.
Se una persona viene colpita con un oggetto di 30 g che si muove a una velocità di 1 m/sec, è possibile che questa persona non avverta l’urto: l’effetto è altro se l’urto è provocato da un corpo che si muove alla stessa velocità (1 m/sec) ma che abbia massa assai maggiore (un’auto, ad esempio).
La massa del mobile ha, quindi, una notevole importanza sul risultato.
D’altra parte, anche la velocità riveste un ruolo importante: un proiettile, di massa piccola, ma che procede a 400 m/sec, può uccidere una persona. Perciò definiremo la quantità di moto di un corpo come un vettore di uguale direzione e verso della velocità, con modulo uguale al prodotto della massa per il modulo della velocità: P = mv.
Se la forza F agisce durante il tempo t, originando un’accelerazione a, la velocità varia durante il tempo Δt di aΔt: in base alla legge di Newton, ciò rappresenta una variazione della quantità di moto pari a:
mΔν = maΔt = FΔt
L’impulso di una forza è uguale pertanto alla variazione della quantità di moto.
Conservazione della quantità di moto
Supponiamo di poter disporre di un sistema isolato, cioè di un sistema i cui componenti interagiscono senza l’intervento di forze esterne (in realtà, un sistema si può considerare isolato quando la mutua interazione fra i componenti superi di molto la loro interazione con altri corpi). Poiché la forza totale F è uguale a zero, la quantità di moto totale non varia nel tempo: ha luogo in tal modo il principio della quantità di moto isolati, valido non solo per sistemi classici ma anche per i sistemi quantistici.
In → 1, abbiamo due masse in quiete collegate da una molla in compressione; in questa situazione, se si trascurano la massa della molla e l’attrito, la quantità di moto totale del sistema la quantità di moto e è nulla e, trattandosi di sistema isolato, la legge impone che tale debba rimanere. Con la liberazione della molla, gli oggetti si allontanano l’uno dall’altro a velocità v1 e v2.
Perciò:
0 = m1 v1 + m2v2 → m1 v1 = – m2v2
dove il segno negativo indica che le velocità hanno orientazione opposta.
Passiamo all’illustrazione successiva (→ 2): anche in uno sparo non intervengono forze esterne al sistema (l’arma) per cui si conserva la quantità di moto. Prima dello sparo P è uguale a zero, poiché fucile e proiettile sono a riposo; dopo lo sparo abbiamo ancora P = 0: il proiettile ha una quantità di moto diretta in avanti, mentre l’arma deve avere una quantità di moto MV diretta in senso opposto e di uguale valore; ossia l’arma ha un rinculo con velocità:
dove m e v sono la massa e la velocità del proiettile, M la massa dell’arma.
La scoperta del neutrino
Uno dei maggiori successi, ottenuti grazie ai princìpi di conservazione, è stata la scoperta di una particella elementare: il neutrino. Alcune sostanze, come vedremo in seguito, possiedono una radioattività naturale: il nucleo del Carbonio 14, decade, ad esempio, per emissione ß e forma Azoto 14 (→ 3).
Il decadimento ß equivale in effetti alla trasformazione di un neutrone nucleare in un protone e all’emissione di un raggio ß (elettrone).
Poiché all’inizio il nucleo è in stato di quiete e nel decadimento si emette un elettrone, con una certa quantità di moto Pe, la conservazione della quantità di moto richiede che il nucleo trasformato vada soggetto a rinculo, con una di modulo uguale e con conservazione della quantità di moto direzione opposta. Si è scoperto peraltro che ciò non era vero, in genere, nel decadimento ß (→ 4); nel 1930 W. Pauli ipotizzò, in base alle leggi di conservazione, l’esistenza di una nuova particella elementare, il neutrino, emesso nel decadimento insieme all’elettrone (→ 5). Secondo questa ipotesi, la quantità di moto e d’energia mancanti dovevano seguire la nuova particella.
Nel 1953, C. Cowan e F. Reines dimostrarono, in seguito a numerosi esperimenti, l’esistenza del neutrino.
Urti elastici e urti anelastici
In un sistema isolato si conservano la quantità di moto e l’energia di due oggetti in urto. Un corpo però possiede, oltre all’energia cinetica, anche un’energia interna, dovuta al moto relativo degli atomi o delle molecole che lo costituiscono. Perciò, in un sistema isolato, non si conserva solo l’energia cinetica, ma anche l’energia totale.
Un aumento dell’energia interna di un corpo porta a un aumento della sua temperatura. Se una parte di energia cinetica si converte in energia termica, l’urto è detto anelastico.
Un urto anelastico è, in genere, un urto in cui ha luogo una variazione dell’energia interna di uno o di entrambi gli oggetti che interagiscono; l’urto è invece elastico, se non avviene alcuna variazione d’energia interna. In →6 sono rappresentate due sfere rigide oscillanti; se lasciamo cadere una delle due da una determinata altezza, questa urta con l’altra inizialmente ferma. Dopo l’urto, essendo le due sfere identiche, la prima si ferma e trasmette tutta la sua energia cinetica all’altra; nel caso di urto elastico, questa raggiunge l’altezza da cui l’altra era partita. Se gli urti fra le due sfere fossero realmente elastici, si avrebbe un moto perpetuo, con conservazione dell’energia meccanica (senza incremento dell’energia interna).
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