01-Il sogno dell’automazione
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ll progresso tecnologico dell’umanità e, in generale, la possibilità di influenzare il mondo fisico dipendono dalla capacità dell’uomo di agire sulla natura, modificandone elementi e materiali. L’attività attraverso cui si manifesta questa capacità è la produzione di manufatti per mezzo di strumenti, a loro volta fabbricati in precedenza: dall’affinamento di un frammento di selce per ricavarne una pietra focaia o un’arma (in epoca preistorica), alla produzione di componentistica di precisione per le apparecchiature scientifiche più sofisticate (ai giorni nostri), la confezione di un oggetto dalle caratteristiche ben precise è il momento chiave in cui l’uomo applica le proprie conoscenze del mondo fisico e delle leggi che lo regolano.
L’UOMO E LA PRODUZIONE
Più in generale, è la produzione il tratto caratteristico che distingue l’attività dell’uomo da quella degli altri esseri viventi: produzione non solo materiale ma anche speculativa e intellettuale, che coincidono o si incontrano in diversi campi dello studio e della ricerca scientifica.
La maggior parte delle attività produttive è caratterizzata dalla ripetitività: è cioè necessario eseguire – contemporaneamente – un certo numero di operazioni, oppure – in momenti diversi – la medesima azione sempre nel medesimo modo.
Questo è abbastanza ovvio per le attività materiali, in cui l’identità a se stessa dell’azione da eseguire è una caratteristica essenziale del processo produttivo: la possibilità di ottenere oggetti identici o comunque funzionalmente indistinguibili è alla base della produzione in serie. Un esempio semplicissimo ma significativo è quello di viti, dadi, bulloni e così via.
Siamo invece meno abituati ad associare l’idea di ripetitività a quella di produzione intellettuale che invece non di rado richiede di applicare il medesimo ragionamento a dati e circostanze diverse: si pensi allo schema ipotesi/dimostrazione/tesi, tipico del metodo induttivo/deduttivo o. più semplicemente, a metodi e tecniche per il calcolo aritmetico elementare. come la prova del nove, i criteri di divisibilità dei numeri e i mille espedienti con cui ciascuno di noi esegue a mente le operazioni elementari.
Automatizzare le procedure
È chiaro che è altamente desiderabile e spesso indispensabile affrancare un operatore umano da questo tipo di attività: al crescere del numero delle ripetizioni, della precisione e dell’affidabilità necessarie, ben presto un uomo non sarebbe semplicemente in grado di eseguire i compiti richiesti.
Nasce in altre parole la necessità dell’automazione (dal greco automatón. “che si muove da sé”) delle procedure in esame, termine con cui si indica l’insieme dei processi e delle metodologie il cui scopo è la riproduzione meccanica di movimenti e azioni.
Negli anni più recenti il protagonista principale – e, anzi, la causa prima – dello sviluppo impetuoso delle tecniche di automazione è stato il computer.
L’incredibile varietà di applicazioni del calcolatore (vera e propria “macchina universale”), non di rado percepite come “creative” e “artistiche” dagli utilizzatori (si pensi ai sofisticati programmi di sintesi, analisi e composizione di spartiti musicali, elaborazione e generazione di immagini, fotoritocco, videoediting, progettazione architettonica assistita), non deve però trarre in inganno: la chiave per l’applicazione fruttuosa del computer al problema in esame sta sempre nell’individuazione delle componenti ripetitive e quindi meccanizzabili della soluzione al problema medesimo, che deve essere già nota.
Ma non bisogna dimenticare che se la storia dell’automazione inevitabilmente confluisce e – in anni recenti – coincide con quella più recente del computer, essa è in realtà molto più antica.
GLI AUTOMI E LE MACCHINE “IMPOSSIBILI”
L’aspirazione alla riproduzione meccanica del movimento sembra essere antica quanto le maggiori civiltà del passato, soprattutto per quanto riguarda l’ideazione e la costruzione di automi. Con questo termine si indicano quei meccanismi (solitamente dotati di una sorgente di alimentazione indipendente) che simulano l’aspetto e i movimenti degli esseri viventi. La differenza fondamentale da questi ultimi è la “programmazione’’ della sequenza dei movimenti, che non è arbitraria né lasciata all’“iniziativa” dello strumento, ma è predefinita dal costruttore o comunque da un operatore umano.
Tra i più antichi, ci è giunta notizia delle statue animate del tempio di Dedalo e della “colomba volante” di Archita di Taranto. Numerose anche le segnalazioni di automi costruiti nel corso del medioevo da sapienti e alchimisti, tra cui – pare – Alberto Magno. Ma le prime documentazioni affidabili risalgono al XVIII secolo, quando alcuni automi vennero sviluppati come applicazione dei progressi nella tecnica dell’orologeria. Particolarmente celebri quelli di Vaucanson, tra cui il “suonatore di flauto”, in grado di eseguire diversi motivi muovendo le labbra, la lingua, le dita e soffiando dentro lo strumento, e l’“anitra”, che riproduceva fedelmente l’aspetto dell’animale, oltre a compierne parecchi movimenti, come nuotare, starnazzare e deglutire mangime.
Altri celebri automi furono le “teste parlanti” dell’abate Mical; lo “scrivano” dei fratelli svizzeri Droz. in grado di intingere la penna nell’inchiostro: il “Turco giocatore di scacchi”, forse il più celebre, anche perché cronologicamente più vicino a noi.
Venne costruito nel 1769 dall’ungherese Wolfgang von Kempelen, consigliere di corte di Maria Teresa d’Austria, e in seguito acquistato da Johann Nepomuk Maelzel. bavarese, che lo esibì in tutta Europa assieme ad altre macchine e curiosità da egli stesso costruite.
Grazie alla non meglio specificata guida di un operatore, l’automa era in grado di battere un avversario umano di livello medio-alto. Nella prima metà dell’ottocento, è segnalata la sua presenza negli Stati Uniti, prima di essere esposto nel museo di Filadelfia, dove nel 1854 è bruciato in un incendio. I dettagli del suo funzionamento non sono mai stati chiariti del tutto.
GLI AUTOMI “VERI”: I ROBOT
Moderni eredi degli automi nell immaginario popolare, i robot costituiscono una delle applicazioni più suggestive della moderna automazione industriale. Il termine risale al 1921 e venne inventato dal drammaturgo ceco Karel Capòk, che lo derivò dalla parola boema robota (“lavoratore”, “servo”).
Utilizzato per decenni per indicare uomini meccanici (e quindi di fantasia), coi tempo è passato a indicare ogni meccanismo dotato di movimento e di un qualche grado di libertà nelle decisioni che lo indirizzano. I robot “classici”, cioè vere e proprie macchine in forma umana, non sono in realtà mai stati oggetto di serie ricerche: una macchina dotata di movimento e di una parziale autonomia decisionale trova le applicazioni di maggior rilievo in ambienti ostili o comunque non favorevoli a operatori umani; oppure nello svolgimento di operazioni per cui è richiesta la versatilità di un singolo arto umano ma una precisione e un’affidabilità molto maggiori di quelle di un uomo.
Quest’ultima caratteristica individua quello che oggi è il campo principale dell’effettiva ricerca in ambito robotico: lo sviluppo di arti per applicazioni di precisione. Sorprendentemente, tali applicazioni – anche se di grande importanza – sono relativamente poche e molto circoscritte: microsaldatura, verniciatura a spruzzo, manipolazione di quantità minime di sostanze chimiche, adesivi o sostanze tossiche.
Il motivo è la sostanziale fragilità di un arto robotico sufficientemente articolato da essere utilizzabile in pratica. Un braccio abbastanza forte da manipolare in maniera affidabile grandi pesi, infatti, risulterebbe eccessivamente massiccio, con conseguenti problemi di tenuta e controllabilità delle giunture sotto sforzo.
Così, il tipico settore di applicazione di un braccio robotico è oggi quello della meccanica di precisione: è il caso dei “posizionatoti fini”, arti in grado di utilizzare la propria pinza con una precisione di 0,2 micron (millesimi di millimetro).
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