Il circuito magnetico
Il circuito magnetico
{gspeech style=2}
Si definisce circuito magnetico un certo sviluppo di linee di induzione tale da svolgersi prevalentemente entro materiali ferromagnetici, cioè ad elevata permeabilità. Il corpo ferromagnetico che realizza praticamente un circuito magnetico è detto nucleo magnetico. Questo può anche non essere interamente formato da materiali ferromagnetici, ma può presentare tratti in aria detti traferri o, più in generale, costituiti con materiali aventi permeabilità relativa di valore intorno a uno.
Sono esempi di circuiti magnetici quelli riportati in figura. Notiamo che le linee principali di flusso tracciate seguiranno un percorso obbligato determinato dalla forma del nucleo magnetico, così come una corrente elettrica (flusso di elettroni) deve seguire l’andamento del circuito elettrico; da questa analogia appunto il nome di circuito magnetico.
Esiste però una sostanziale differenza fra i due. Mentre nel caso elettrico non si ha alcuna dispersione di corrente verso l’esterno, nel circuito magnetico alcune linee di flusso, per la verità pochissime, dette flusso disperso, fuoriescono dal nucleo per chiudersi nel nesso circostante.
Vediamo i motivi di questo comportamento.
La resistività di qualsiasi circuito elettrico, per quanto grande sia, non è mai commisurabile con quella dell’aria circostante, che corrisponde ad un isolamento pressoché perfetto.
La differenza fra il valore di permeabilità di un circuito magnetico e quello del nesso circostante, invece non è molto elevata, il che rende possibile la fuga di una parte del flusso di induzione.
Naturalmente le dispersioni magnetiche sono tanto meno sensibili quanto migliore è il circuito magnetico dal punto di vista della forma e dei materiali impiegati e quanto più uniforme è la distribuzione degli avvolgimenti che determinano il campo magnetico.
Abbiamo parlato delle caratteristiche magnetiche dei materiali basandoci su grandezze unitarie (induzione B, forza magnetica H); adesso cercheremo di ricavare una legge che leghi anche le grandezze globali. Inoltre, poiché campo magnetico e circuito elettrico sono intimamente connessi, cercheremo come si legano fra loro i parametri geometrici e quelli del materiale al relativo flusso e ai parametri del circuito elettrico. Poniamo, in questo discorso, l’ipotesi che il circuito magnetico dato, pur potendo essere costituito da materiali aventi permeabilità differenti, non abbia flussi dispersi.
Noi sappiamo che ;
ricordando poi che e , indicando con M la tensione magnetica, ricavata da:
M = H · l e ricordando che si ha che
possiamo scrivere e quindi = R · Φ, avendo posto .
Nell’espressione ricavata, M rappresenta la forza magnetomotrice che causa la circolazione del flusso nel circuito.
Questa formula, la legge di Hopkinson, è uguale alla legge di Ohm per le correnti, per cui R chiamata riluttanza e misurata in
ha la stessa funzione della resistenza nei circuiti elettrici. Questa grandezza proporzionale alla lunghezza del circuito e inversamente proporzionale alla sua sezione; la permeabilità appare al denominatore poiché costituisce la facilità a lasciarsi attraversare dal flusso, mentre la resistività mentre la resistività rappresenta l’ostacolo che il materiale presenta a lasciarsi attraversare dalla corrente.
Ciò detto, la legge di Hopkinson afferma che il flusso in un circuito magnetico è proporzionale alla f.m.m. applicata al circuito ed inversamente proporzionale alla riluttanza del circuito.
La legge di Hopkinson può anche essere scritta, ricordando che M = N · I,
N · I = R · Φ
in cui è messo in evidenza il legame tra grandezze del campo magnetico e del circuito elettrico induttore. L’espressione R · Φ, che corrisponde, in base all’analogia con i circuiti elettrici, ad una caduta di tensione magnetica può essere sostituita con l’espressione H · I.
Come per i circuiti elettrici, si può ricavare l’equivalente legge alle maglie: per ciascun circuito chiuso soggetto a più forze magnetomotrici, la somma algebrica di queste (N · I) equilibra tutte le cadute di tensione magnetiche (R · Φ o N · I) dei vari tronchi costituenti il circuito chiuso (compresi eventuali traferri).
Per circuiti magnetici con più rami in parallelo vale l’equivalente legge di Kirchhoff: per ciascun nodo ove convergono e divergono più flussi magnetici, la somma dei flussi entranti uguaglia la somma dei flussi uscenti dal nodo. Oppure anche: la somma algebrica dei flussi entranti e uscenti da ogni nodo è uguale a zero.
Poiché, come visto, lo studio di un circuito magnetico è stato ricondotto a quello di un circuito elettrico, riassumiamo brevemente le analogie e le differenze tra i due tipi di circuito:
- la f.m.m. è analoga alla f.e.m.;
- la caduta di tensione magnetica corrisponde alla c.d.t. di un utilizzatore elettrico;
- la riluttanza corrisponde alla resistenza;
- il circuito magnetico è sempre percorso da flusso, perciò non esiste un corrispondente della f.e.m. a morsetti aperti;
- il circuito magnetico dà luogo a dispersioni di flusso, che in un circuito elettrico non si verificano; la permeabilità e quindi la riluttanza dei materiali ferromagnetici variano con il valore dell’induzione, mentre la resistività e la resistenza non variano; il circuito magnetico non assorbe energia, salvo quella richiesta per creare il campo magnetico, che viene resa quando viene annullato, mentre una circolazione di corrente avviene sempre con perdite per effetto Joule;
- l’avvolgimento induttore deve essere il più possibile vicino al punto di utilizzazione del flusso per ridurre la dispersione, mentre il generatore elettrico può essere collocato in qualsiasi punto del circuito.
Applichiamo con un esempio la legge di Hopkinson:
Un anello di ferro fucinato a sezione rettangolare di 5 x 10 cm con diametri di 20 e 40 cm è avvolto in 500 spire. Si chiede quale corrente sarà necessaria per ottenere il flusso di 0,006 Wb.
Si calcola innanzitutto la sezione in m2:
S =a·b = 5·10 = 50 cm2 = 0,005 m2
Si può calcolare, adesso, l’induzione B:Dalla tabella di magnetizzazione otteniamo perE quindi Calcoliamo adesso la lunghezza del circuito magnetico, presa come lunghezza media del percorso delle linee di flusso. Si ha allora:
La riluttanza è:La f.m.m. è:
M = R·Φ = 97.113·0,006 = 582,68 Asp
Infine la corrente è ricavata dalla relazioneLo stesso risultato si può ottenere seguendo un’altra via.
Dalla tabella di magnetizzazione, perSi ha:Possiamo quindi trovare la f.m.m. con la relazione
M = H·l = 620·0,942 = 584 Asp
E quindi la corrente:
Notiamo come questo secondo modo di procedere sia più spedito e più semplice nei calcoli.
È, quindi, particolarmente indicato quando il circuito magnetico presenta più cadute di tensione magnetica per definire la f.m.m. complessiva.
Concludiamo questa parte relativa ai fenomeni magnetici parlando brevemente di alcune applicazioni. La maggior parte delle macchine e delle apparecchiature basano il loro funzionamento su elementi magnetici, generalmente gli elettromagneti, formati, come visto, da un solenoide percorso dalla corrente di eccitazione, avvolto attorno ad un nucleo di ferro dolce per ottenere valori più elevati di flusso.
Uno dei modi di utilizzare gli elettromagneti è quello di generare una forza attrattiva utilizzando un’ancora costituita da un elemento di ferro mobile posto in corrispondenza del traferro e sulla quale si esercita la forza portante dell’elettromagnete. Questa viene utilizzata in molti casi, come ad esempio nel sollevamento di rottami metallici, nei freni elettromagnetici ecc…
Un impiego analogo si ha nelle suonerie ove un elettromagnete attira l’ancorina collegata al batacchio e dotata di una molla e di un contatto che interrompe la corrente dell’elettromagnete: in tal modo si ha una vibrazione dell’ancorina, richiamata dalla molla.
Anche il telegrafo Morse è basato sull’attrazione che un elettromagnete, eccitato dalla corrente inviata dal tasto, esercita su una ancorina che porta la punta scrivente che va a contatto con un nastro di carta in movimento continuo.
Un altro esempio importantissimo è costituito dai relè, i quali, pur assumendo forme costruttive diversissime, sono tutti basati su un unico principio: un elettromagnete attira una ancorina che per mezzo di un sistema meccanico sposta un gruppo di molle di contatto, le quali aprono o chiudono dei circuiti.
In tal modo si ottiene che la corrente inviata in un circuito di comando possa, attraverso l’azione magnetica, aprire o chiudere più circuiti controllati.
Altre applicazioni si hanno in circuiti più o meno complessi, come ad esempio nel funzionamento del telefono, in circuiti citofonici, ecc…
{/gspeech}
Commento all'articolo